Nella società postindustriale la cultura, come sostiene l’economista Salvemini, è una risorsa cruciale per i processi economici, una sorta di humus fertile, dove i professionisti creativi possono insediarsi e stimolare la crescita. Nel Libro Verde della Commissione Europea si sostiene che le industrie culturali e creative sono un potenziale da sfruttare e ,come sottolineato dall’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development), tra le industrie creative c’è anche  il settore della danza che, dunque, può creare valore ed economia.

 

 Inoltre, il punto 2.2 della convenzione UNESCO,  per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, testimonia che la danza rientra nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Essa è salvaguardata dall’Unesco anche ad opera del CID (Consiglio Internazionale della Danza), organizzazione ufficiale per tutte le forme di danza, in tutti i paesi del mondo. Fondato il 12 novembre 1973, il CID è un’organizzazione non-profit e non-governativa ed è il forum universale che riunisce individui attivi nella danza, scuole, compagnie internazionali, nazionali e locali.

 Dal 1982, il Comitato Internazionale della Danza, che fa sempre capo all’UNESCO, ha, poi, istituito la Giornata Internazionale della Danza, da celebrarsi il 29 Aprile di ogni anno.  La data commemora Jean-Georges Noverre, grande riformatore della danza, nato appunto il 29 aprile del 1727.

 

Unico partner ufficiale per le celebrazioni è la World Dance Alliance che promuove l’unità dell’arte coreutica nel mondo. Ogni anno, per di più, viene diffuso un “Messaggio al Mondo della Danza”, scritto da una personalità di fama mondiale. Gli obiettivi della Giornata e del Messaggio sono quelli di riunire, in una ricorrenza, tutto il mondo della danza, al fine di rendere omaggio a questa forma d’arte e di celebrarne la sua universalità che attraversa barriere politiche, culturali ed etniche,  aggregando l’umanità intera in spirito di amicizia e pace, intorno ad un comune linguaggio – quello appunto della danza.

 Come già affermato quest’arte, nel suo specifico, ha anche un impatto sull’industria creativa. Una giusta policy, che ragioni verso il medio e lungo termine, potrebbe creare condizioni di attrazione, governarne gli effetti e agire in modo da renderli duraturi. Alcuni paesi riescono a gestire questo settore al pari di una vera e propria industria, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Esistono, infatti,  a livello internazionale, modelli di lungimiranza che  tentano di mettere ordine nell’arte della danza, storicamente nata come un rituale, trasformatasi poi in fenomeno culturale radicato e che oggi può essere un’industria culturale di rilievo.

In Italia purtroppo la situazione è leggermente diversa. Il nostro paese soffre della scarsa attenzione data a questa industria da parte delle istituzioni e della mancanza di un coordinamento efficace per la messa a punto di strategie di successo. Le industrie culturali e creative incontrano spesso svariati, specifici problemi nell’attrarre investimenti o nell’accedere a possibili finanziamenti. Il settore della danza, in particolare, non sempre è ben regolamentato, la stessa formazione manca di precise linee guida e di standard di competenze nazionali.

Dal 1997, nel nostro paese, alla danza e al balletto viene riconosciuta dignità di arte autonoma e i finanziamenti vengono assegnati indipendentemente rispetto agli stanziamenti per la musica e la lirica. A questo passaggio importante, tuttavia, non ha ancora fatto seguito un vero cambiamento sostanziale e, paradossalmente, la valutazione dei dati relativi alla danza come settore autonomo ha reso ancora più evidente l’esiguità dell’investimento pubblico. Questa operazione ha, in ogni caso, significato una nuova attenzione verso la danza e il balletto e una maggiore presenza di rappresentanti del settore, nei luoghi istituzionali di confronto sulle politiche di distribuzione delle risorse finanziarie agli spettacoli dal vivo. Ha favorito, inoltre, la creazione di organi di consultazione da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, tra cui la Commissione Consultiva per la Danza. Va sottolineato, poi, che la SIAE, a partire dal 1995, aveva compiuto un’analoga operazione di distinzione dei dati della danza da quelli della musica.

Per regolare l’intervento pubblico nei settori del mondo dello spettacolo, il governo italiano si avvale del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), creato con l’articolo 1 della legge 30 aprile 1985, n. 163. Lo scopo è quello di fornire un sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti nel cinema, nella musica, nella danza, nel teatro, nel circo e nello spettacolo viaggiante, ed è, inoltre, quello di promuovere e sostenere manifestazioni e iniziative di carattere e rilevanza nazionale in Italia o all’estero. Secondo l’articolo 15 della legge 163/85, il FUS viene rifinanziato ogni anno con la legge finanziaria e viene ripartito tra i vari settori con un decreto del Ministro per i Beni Culturali.

Il fatto che il settore della danza in Italia, però, si sia sviluppato meno rispetto agli altri ambiti culturali e che soffra nel confronto con altre realtà a livello internazionale,  soprattutto europeo, è ben noto ed è stato discusso spesso anche dagli addetti ai lavori.

Come sostiene Antonio Foglio ne “Il marketing dello spettacolo”  un’offerta vasta e autorevole come quella dello spettacolo italiano, avrebbe richiesto una completa, mirata ed approfondita proposta di marketing per valorizzarla e gestirla al meglio. Un progetto di marketing culturale specifico per la danza dovrebbe perseguire una mission (un’industria della danza dinamica) partendo da una vision (la danza come industria coreutica che contribuisce all’economia, all’istruzione e alla cultura). La danza potrebbe creare lavoro e contribuire all’economia attraverso una giusta strategia, attenta alle innovazioni e al proliferare delle nuove tecnologie. Il problema centrale sarebbe quello di cercare di innescare un cambio di mentalità. Gli eventi potrebbero trasformarsi in una leva essenziale dello sviluppo, creando nuove risorse per la produzione culturale e aumentando sia la qualità della vita che l’attrazione dei luoghi. Per di più, data la sua natura multisensoriale e cinestetica, l’arte coreutica potrebbe rappresentare la quintessenza del marketing esperienziale. La vera sfida sarebbe quella di dare visibilità a questo settore, farne riconoscere i livelli di qualità e sviluppare un diffuso senso critico per formare un pubblico e una società diversi.

Il prodotto danza, indirizzato normalmente ad un mercato specialistico (praticanti, amanti del ballo, estimatori), potrebbe aprirsi ad un pubblico sempre più vasto e variegato  che si trasformi da fruitore occasionale in fruitore abituale.

Ma restiamo fiduciosi … forse qualcosa sta cambiando!

Annachiara Di Donato