1622203_758215327522266_411320097_n
© Alfonso Maria Salsano

Negli ultimi mesi si è assistito a un ricambio generazionale nel cinema italiano nella sfera registica. Molti sono stati gli esordi alla macchina da presa, e la maggior parte di questi proveniente da Roma in giù: basti pensare al siciliano Pier Francesco Diliberto (in arte Pif) con La mafia uccide solo d’estate, Ciro Ceruti e Ciro Villano, i napoletani di Fuori corso, che esordiscono alla regia con La legge è uguale per tutti…forse, e Edoardo Leo anche lui recentemente passato dietro la macchina da presa, come con Buon giorno papà, suo terzo film da regista. Proprio quest’ultimo è il protagonista di Smetto quando voglio, prima regia e successo nazionale di Sydney Sibilia, un giovane regista salernitano che ha incassato 3 milioni di euro al box office con la sua commedia: un film che riflette il periodo di crisi contemporaneo e gioca – per assurdo – sulla possibile reazione alla disoccupazione di un gruppo di ricercatori universitari squattrinati.

Sibilia è stato ospite della rassegna culturale Davimedia dell’Università di Salerno, per un incontro con gli studenti. Un ritorno vittorioso alla terra natìa quello di Sibilia, che ha dimostrato una grande passione per il cinema, portando come esempio il percorso di formazione che l’ha condotto alla regia che non è passato attraverso uno studio specifico ma direttamente sul campo. Il film è stato prodotto da Domenico Procacci per la Fandango, ma le prime esperienze cinematografiche di Sibilia sono state salernitane. Il regista è un esempio positivo del rapporto e della sinergia fra creatività e territorio: con Iris Blu (2005) il suo primo cortometraggio, girato a Salerno, ha vinto un concorso. Come molti prima di lui, Sibilia si è trasferito, dopo la gavetta, a Roma dove ha realizzato due cortometraggi di successo, Noemi (2007) e Oggi gira così ( 2010).

Smetto quando voglio una frase fatta, molto comune per un film “fuori dal comune” che ci ricorda quanto è bello andare al cinema. Soprattutto perché la pellicola ha in sé echi del glorioso Cinema Italiano anni Sessanta, fatto di quella commedia aderente alla realtà per cui la risata è sempre legata a eventi che potrebbero essere trattati anche in chiave seria.

1779062_758215867522212_700784481_n
© Alfonso Maria Salsano

Il film racconta di un ricercatore universitario specializzato in chimica (interpretato da Edoardo Leo) che sintetizza una nuova sostanza stupefacente e legale, perché non presente nell’elenco delle sostanze illegali rilasciato dal Ministero della Salute. La vendita di questo prodotto comporterà per lui e per i suoi compagni, anch’essi ricercatori disoccupati (o precari) di altre branche universitarie, l’inizio di una vita fatta di denaro facile e belle donne; ma i problemi saranno ad aspettarli dietro l’angolo.

Smetto quando voglio affonda  le sue radici ne I soliti ignoti di Monicelli, La banda degli onesti di Matrocinque e strizza l’occhio a una certo tipo di commedia americana sporcata di sarcasmo, e alle serie Tv americane, prima fra tutte Breaking Bad. Anche nel modo di raccontare la storia di Pietro, Sibilia non è stato banale; ha attinto proprio ad una certa commedia americana come Hangover, in cui il montaggio delle sequenze è funzionale a mantenere alta l’attenzione dello spettatore. Come nei migliori racconti si comincia dalla fine, un primo piano di Pietro con il volto coperto da un passamontagna e una pistola in mano ci mostra il protagonista nelle vesti di un criminale che sta per rapinare una farmacia. Un flashback ci conduce a quattro mesi prima in un’angusta aula universitaria in cui lo stesso ragazzo di prima si affanna a presentare al meglio la propria ricerca alla commissione, sperando di essere finanziato per il prossimo anno.Vedendosi rifiutato il finanziamento, viviamo il declino del giovane e la presa di coscienza da parte di Pietro che solo attraverso un’azione ai limiti della legalità gli farà ottenere ciò che gli spetta di diritto.

Sempre a proposito dell’incipit del film, che cattura subito l’attenzione, la sequenza iniziale che vede una panoramica di Roma dall’alto è degna di molti film americani, tanto che la città non sembra essere neppure la Roma che conosciamo. La dimensione da thriller americano è data, infatti, anche dalla fotografia acida e satura, una color correction che storpia l’immagine e la rende più “sporca”. La vicenda potrebbe essere ambientata in qualsiasi città o paese che subisce la crisi contemporanea, e Roma è infatti anonima: non notiamo la sua presenza se non per qualche rifermento dovuto al dialetto dei protagonisti e ai cenni storici di Arturo (un grande Paolo Calabresi) archeologo di professione. La commedia, per quanto aderente alla contemporaneità, assume anche tratti grotteschi e surreali, ma senza mai scadere nel volgare e nella risata gratuita.

Buona parte del cast viene dalla fortunata serie televisiva Boris di Luca Manzi, il succitato Paolo Calabresi, Valerio Arpea (in Boris uno degli sceneggiatori, in Smetto quando voglio un preparatissimo latinista) e Pietro Sermonti (qui Antropologo, in Boris il divo Stanis La Rochelle); e citando proprio il divo Stanis possiamo dire che questo è un film decisamente “poco italiano”: una pellicola giovane, forte, ricca, scritta e girata con una grande consapevolezza. Non un cedimento, comicità affilata, filtri tarantiniani che colorano inquadrature taglienti, personaggi nuovi, accattivanti e perfettamente disegnati. Le situazioni sono ben calibrate e macchiettistiche quanto basta e sono giocate bene dagli attori, da Calabresi a De Rienzo per arrivare allo stesso Sergio Solli che interpreta il docente universitario egoista e superficiale che vuole sfruttare il povero Pietro senza interessarsi realmente della sua situazione di precario.

Smetto quando voglio è il racconto dell’Italia di oggi, così realisticamente raccontata, così vera e al contempo assurda che si trasforma in una commedia spietatamente divertente.

L’incontro con Sydney Sibilia è stato tra i più empatici per i giovani studenti universitari; la sua caparbietà, il suo credere nei suoi obiettivi l’hanno portato a coronare un sogno. Quello che Sydney ha sconsigliato ai giovani d’oggi di fare è sedersi e dirsi solo, in continuazione, “io vorrei fare questo, o questo, o quest’altro ancora” senza concretizzare. Bisogna prima di tutto capire cosa si vuol fare nella vita, in seconda istanza, non distogliere l’attenzione dall’obiettivo pensando di voler fare cento cose diverse, e ultimo, ma non meno importante, credere in quello che si vuole fare non cercando di accontentare gli altri ma facendo qualcosa che piace prima di tutto a noi stessi. In sintesi? Scegliere di fare una cosa e farla bene.

Per il video sulle nostre interviste clicca qui!

Per altre foto sull’incontro clicca qui!

Sara Formisano
Maria Rossella Scarpa