Alessandro Borghese, chef , autore Tv e scrittore di libri di cucina, è un esempio positivo che rappresenta l’arte della cucina in modo creativo e multimediale come pochi riescono a fare. Da poco reduce dalla sua ultima fatica letteraria, Tu come lo fai?, lo chef di origine napoletana e madrelingua inglese, nato a San Francisco, ha portato buon umore e simpatia nella grigia mattinata di lunedì, 2 dicembre, all’Università di Salerno, dove è venuto a presentare il suo libro agli studenti dell’Ateneo e a farsi conoscere meglio!

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L’evento rientra nel ciclo di appuntamenti culturali della rassegna Davimedia ed è stato promosso e organizzato in collaborazione con Creactivitas. Proprio dalla creatività si è partiti con la prima riflessione sul modo di lavorare di Borghese, quando gli si è chiesto di spiegare il processo di studio e preparazione di un piatto. Lo chef, che a questo punto possiamo definire creativo del “food”, ha affermato di disegnare i piatti prima ancora di prepararli, “ho sempre bisogno – dice – di mettere su carta quello che sto creando e se osservi i miei appunti, vedrai che dal primo bozzetto del piatto al risultato finale, vi sono molte modifiche e passaggi, necessari”.

L’atto del cucinare, diventa con questo chef “rock”, un’esperienza che prima di partire dalla cucina, inizia con carta e matita, quindi con un processo di studio e analisi. Il tutto è condito dalla buona musica che, come Alessandro Borghese dice nel suo libro e come ha dichiarato all’incontro con gli studenti, deve sempre accompagnarci nella vita e quindi anche a tavola!

Nel ricettario da lui pubblicato per Mondadori, lo chef suggerisce per ogni pietanza un brano musicale e un vino in particolare come accompagnamento. Mangiare diventa un momento di sense making, un’esperienza a tutti gli effetti completa. Il libro, più che un ricettario, si potrebbe definire una sorta di manuale del “buon vivere”, oltre che della buona cucina.

La sensazione che proviamo conversando con Alessandro, è quella di non avere a che fare semplicemente con un cuoco, ma con un artista della cucina che trasmette la sua passione con ciò che fa.

Il messaggio che è passato agli studenti è che per diventare ciò che si vuole occorrono duro lavoro e passione. Senza la passione non si può ottenere nulla. L’esperienza all’estero è molto importante secondo Alessandro; è utile per formarsi e acquisire ciò che serve per poter avere quella marcia in più una volta ritornati in Italia.

Come autore di format televisivi incentrati sulla gastronomia, Borghese ha spiegato in che modo viene confezionato un contenitore che possa essere appetibile per il pubblico, tenendo conto ad esempio dei format esteri.

Quello che questi format hanno in più sono i mezzi, mentre in Italia è la materia prima a essere la migliore, anche se spesso noi italiani“conosciamo bene i prodotti della tradizione, ma ci sfugge quella miriade di prodotti ad essi legati e che magari non abbiamo mai pensato di usare in un piatto”, dice Alessandro.

Il format a lui più congeniale è stato L’Ost, programma gastronomico itinerante in cui entrava in casa delle casalinghe per rivisitare i piatti della tradizione.

Lo chef procedeva sul palco del teatro in modo disinvolto e subito è entrato in confidenza con gli studenti. La scenografia scelta per l’occasione ha voluto ricreare una sorta di salotto con tavola apparecchiata e qualche commensale pronto a fare domande.

La creatività nasce anche dalla combinazione di elementi diversi fra loro che insieme producono qualcosa di diverso da ciò che siamo abituati a vedere. Attraverso il suo lavoro di chef, autore Tv e scrittore creativo di libri di cucina, Alessandro Borghese riesce a fare tutto questo senza mai essere statico nella sua professione e rinnovandosi di continuo. In una sola parola, Alessandro è un esempio di multitasking.

Come chef di formazione internazionale, Alessandro Borghese, ha chiuso il suo intervento universitario con una riflessione sul modo di vivere la cucina da parte di noi italiani rispetto all’estero. La cucina, come molte cose della nostra vita si é globalizzata e nonostante siamo abituati a scegliere cibi nuovi e più esotici, restiamo sempre molto legati alla tradizione – ed è giusto così.

 “Da noi la cucina è molto radicata nella tradizione: abbiamo dato spazio al sushi, al kebab e altro, ma tutto ciò resta marginale rispetto a quella che è la nostra tradizione. Io penso che nessuno sostituisca un piatto di spaghetti al pomodoro con il sushi, lo fa come alternativa, lo fa come diversivo giusto per assaggiare delle realtà gastronomiche diverse, perché bisogna allenare il palato, sperimentare; ma noi restiamo dei tradizionalisti e guai se non fosse così, anzi dobbiamo esserlo ancora di più se parliamo di eccellenze italiane nel campo enogastronomico e specialmente la fascia giovane di età deve riscoprire queste eccellenze, perché la cultura dei giovani è limitata ancora per quel che riguarda la parte dei prodotti gastronomici, cioè si conoscono poche cose. S i conosce la mozzarella di bufala, ma tutti gli altri venti, trenta formaggi che gravitano intorno a questa nessuno li conosce o non li ha mai adoperati all’interno di un piatto. Questo è quello che va insegnato perché comunque è patrimonio nostro ed è molto molto importante da custodire”.