IL CINEMA ITALIANO OGGI:

Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso in Italia si producevano in media 300 film all’anno, la maggior parte di questi film riscuoteva un buon successo di pubblico e alcuni dei film prodotti in quel ventennio sono diventati dei capolavori e anche in Italia come ad Hollywood c’era lo star system.  Oggi la realtà cinematografica del nostro paese è cambiata profondamente a cominciare dalla produzione

si producono meno di 100 film l’anno, il 90% delle pellicole viene girata fuori dagli Studios, quando, invece, ci sono quaranta ettari di terreno sui quali da oltre settant’anni esiste Cinecittà, la “fabbrica dei sogni” che ha ospitato produzioni italiane e internazionali di grande prestigio, attori e registi diversi e che oggi rischia, a causa della crisi e dei tagli alla cultura, di chiudere definitivamente. Il cinema di oggi è cambiato anche negli intenti, in passato era in grado di muovere le masse e di influenzare l’opinione pubblica. Istruiva facendo sognare e aveva la pretesa di cambiare il mondo. In seguito il ruolo di cambiare il mondo e di influenzare la società è passato prima alla TV  e poi a Internet. Quest’ultima ha cambiato anche i modi di distribuire i film, offrendo mezzi più rapidi per la fruizione delle pellicole, come il download e lo streaming. Oggi il cinema è diventato gratuito e accessibile a tutti con un click e se da un lato questo è positivo perché accelera e facilita la distribuzione, dall’altro sempre meno persone si recano nelle sale cinematografiche per vedere una pellicola di cui possono godere stando tranquillamente seduti in poltrona a casa. In questo modo forse si perde l’unicità del momento cinematografico.

Spesso grazie allo streaming lo spettatore riesce a vedere delle pellicole in lingua originle anche prima della loro uscita ufficiale nelle sale italiane, poiché la distribuzione in Italia è lenta rispetto alle altre: alcuni titoli stranieri arrivano nelle sale anche un anno dopo l’uscita ufficiale.

La novità dello streaming, che danneggia il cinema,  è il fatto che sempre più siti offrono film ancora presenti nelle sale o che addirittura, come si è detto, devono ancora uscire. Il tutto viene offerto in una qualità sempre migliore e per questo che il pubblico ne usufruisce sempre di più. Le perdite subite dall’industria cinematografica, quasi 530 milioni di euro l’anno, hanno fatto in modo che le major si allertassero per analizzare e risolvere la zona grigia normativa nella quale si colloca la visione in tempo reale di contenuti illegali. La maggior parte dei siti di streaming video, infatti, funziona come YouTube: ospita filmati caricati dagli utenti stessi e declina ogni responsabilità per eventuali scopi illeciti, promettendo la cancellazione del video qualora i detentori del copyright segnalassero eventuali abusi. Un escamotage che non è semplice arginare a livello legislativo. Le case di produzione e di distribuzione, dunque, cominciano a vedere diminuito il loro governo su sbocchi di mercato e flussi di vendita.[1]

Produzione

Un notevole cambiamento si è evidenziato anche nel mondo della produzione cinematografica italiana. Gli investimenti vedono il loro punto di forza nei capitali privati italiani e nelle banche.

In particolare, da un lato è stato contrastato e compensato il drastico e progressivo ridimensionamento dei contributi statali concessi attraverso il Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo), sventando la minaccia di una possibile crisi che ha fatto capolino nei primi anni Duemila, dall’altro si è evidenziata la crescita non solo delle dimensioni economiche, ma anche dell’interesse e della fiducia nei confronti di società e imprenditori che operano nel settore.

Gli inserimenti di product placement vengono in genere pagati dalle aziende investitrici in tre tranches: la prima rata al momento della firma del contratto prima dell’inizio della lavorazione; una seconda al momento del montaggio finale; la terza in coincidenza con l’uscita del film nelle sale.

Nell’ultima stagione si è verificato un considerevole aumento delle produzioni a medio budget ed è maturato un ulteriore incremento di quelle di livello più elevato.

«Naturalmente questo cambiamento causato dal maggiore intervento dei capitali privati, ha avuto un riscontro nelle coproduzioni con l’estero: infatti, l’impegno italiano nelle coproduzioni continua a mantenere un profilo relativamente basso, erodendo di conseguenza la capacità di attrarre nuovi investimenti dall’estero (oltretutto in tempi favorevoli ai processi d’internazionalizzazione come quelli attuali, pur nel contrasto di opportunità e minacce intrinseco alla fenomenologia della globalizzazione), senza propiziare altresì nuove aperture ai mercati d’oltre confine. Potrebbe risultare così depotenziata anche l’opzione emersa in ultimo di realizzare più coproduzioni con un ruolo maggioritario invece che in minoranza come avveniva in passato».[2]

Innovazione tecnologica (3D) 

Con la diffusione di nuovi complessi polifunzionali (i nuovi multiplex), c’è stato un afflusso di investimenti atto al miglioramento del sonoro, della proiezione, dell’illuminazione e di arredi e corredi nelle sale favorendo, in particolare, una forte innovazione tecnologica.
Nasce, dunque, la nuova versione in 3D o stereoscopica, applicata ora senza più alcuni problemi del recente passato anche ai lungometraggi.

«Le produzioni in 3D appaiono in graduale aumento e dalle 40 sale del 2009 predisposte alla proiezione “tridimensionale” si è già passati nel 2010 a 342, in 169 diversi complessi, la maggior parte dei quali rappresentata dai multiplex dei grandi circuiti.»[3]

Allargando il nostro raggio di analisi fuori dal contesto italiano, «si prevede che mentre l’esercizio europeo arriverà a contare circa 19 mila schermi digitali già tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 – cioè in anticipo di un anno rispetto alle precedenti valutazioni – quello mondiale giungerà contemporaneamente ad annoverarne da 55 a 57 mila. Vuol dire che, precorrendo i tempi, il cinema europeo riuscirà a digitalizzare almeno il 50% di tutti i suoi schermi disponibili – come peraltro si prospetta nello specifico ambito italiano – e lo stesso accadrà per il parco di proiezione mondiale».

Una estesa digitalizzazione dei multisala rischia di compromettere la competitività degli altri impianti minori e i loro margini di redditività; di fatti, se questi esercizi minori non rendessero digitali le loro sale, si troverebbero alle prese con un mercato distributivo parallelo, privo dei titoli di nuova produzione in formato digitale (cioè su hard disk e cd) e limitato alle vecchie opere in celluloide, il cui mantenimento comporterebbe a quel punto un forte aumento dei costi logistici e delle tariffe di noleggio[4].

David Lynch afferma in merito a tale cambiamento: «Risulta troppo d’impaccio lavorare con la pellicola. Le cineprese da 35 mm iniziano a sembrare dinosauri. Sono enormi, pesano tonnellate e devi poterle trasportare. C’è una marea di cose da fare e tutto procede troppo lentamente. Usarle sottrae un sacco di possibilità. Con le telecamere digitali è tutto più leggero: hai maggiore flessibilità di movimento. Tutto è molto più agevole. Puoi pensare e su due piedi catturare subito le immagini… Con le videocamere sei sempre in azione».[5]

Oggi i film sono girati in formato digitale, manipolati digitalmente ( un processo creativo in sé  e per sé) e naturalmente sono distribuiti digitalmente. Il digitale 3D abilitato e il digitale in genere hanno aiutato i registi a creare nuove visioni di mondi nuovi ( Avatar) e nuove visioni di mondi antichi ( 300). Il video on demand emergerà poi come sostituto del dvd. Il digitale ha rivoluzionato il business musicale e ha rivoluzionato il publishing aziendale. Il mondo del cinema e di internet ci sono stati venduti come “ The great flatteners”. Tolgono gli intermediari e danno libero accesso alle informazioni.

Oltreoceano il monopolio degli Stati Uniti.

Per comprendere il monopolio internazionale degli Stati Uniti sulle immagini e sui sogni è necessario risalire alle origini di questo potere, non a Washington, ma a Los Angeles, non alla Mpaa, ma agli Studios di Hollywood. E’ necessario anzitutto occuparsi del pubblico americano: milioni di spettatori che ogni anno acquistano circa 1,4 miliardi di biglietti d’ingresso al cinema per una spesa di oltre 10 miliardi di dollari. Oggi consumano film soprattutto nelle sale cinematografiche delle grandi periferie degli Stati Uniti. Tutto è cominciato qui: nei centri commerciali ai bordi delle autostrade , nei drive-in, negli exurbs, e nei multisala.

Nell’epoca d’oro degli studios, tra gli anni venti e la fine degli anni quaranta, Hollywood era un sistema centralizzato, compatto e organizzato secondo una rigida gerarchia verticale. Le case di produzione organizzavano l’intero processo di realizzazione di un film.I produttori, ma anche gli sceneggiatori, i tecnici, i registi e la maggior parte degli attori erano stipendiati con contratti a lungo termine. Il cinema era anzitutto un’industria in cui, in un certo senso, tutti lavoravano alla catena di montaggio. Con il 1948, quando la Corte degli Stati uniti ha vietato i processi di concentrazione, gli studios hanno subito un contraccolpo perdendo la posizione di monopolio e il controllo della rete delle sale cinematografiche (che hanno dovuto vendere), costringendole a limitare la produzione . A partire dalla metà degli anni cinquanta, il sistema industriale e centralizzato di Hollywood scompare e comincia ad assumere una dimensione meno rigida.

Oggi, nella nuova Hollywood, i film sono sostenuti da major che finanziano, danno green light ( il “via libera” che permette di cominciare lo “sviluppo” di un progetto), ma sono estranee al processo di realizzazione. La lavorazione è affidata, sotto il permanente controllo di agenzie di talenti remunerate a percentuale a ogni transazione, a migliaia di società indipendenti: case di produzione, star-up che affrontano le questioni tecniche , piccole e medie aziende specializzate nel casting, nella post-produzione, negli effetti speciali e nella realizzazione dei trailer promozionali. Le diverse fasi del film sono subappaltate ad aziende specializzate in Asia, ad artigiani che lavorano a Los Angeles, ad agenzie di comunicazione globalizzate e a società specializzate nella distribuzione di film in determinati paesi. Tutti sono indipendenti, ma legati per contratto ad un sistema infinitamente più complesso di quello degli studios di una volta. Al contrario della vecchia Hollywood in cui tutti erano dipendenti, nella nuova Hollywood tutti sono indipendenti.
Le major si comportano come delle banche.

Sara Formisano

[1]     Rapporto cinema 2010, Nella società degli schermi, pp. 17-18

Claudiana di Cesare, Fenomeno streaming,il cinema gratis con un click, Newsmagazine.it

[2]    I capitali esteri della coproduzione, pp. 31-35. Rapporto cinema 2010

[3]    I fondi per l’innovazione tecnologica, pp. 60-63.

[4]    Odissea 2012: viaggio nel digitale, pp. 63-65.

[5]    David Lynch, In acque profonde, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2010