Internet si tinge di nero a difesa della libertà!

Il 18 gennaio alcuni dei siti più visitati del mondo sono diventati (quasi) inaccessibili per tutti gli utenti che tentavano di consultarli: Google.com sfoggiava un gigantesco banner nero che copriva l’header del sito, Wikipedia reindirizzava ad una pagina che spiegava il motivo dell’impossibilità di consultazione e invitava ad informarsi. La protesta ha coinvolto centinaia di altri siti, compresi Mozilla, Twitter, Tumblr, Vimeo (solo per citarne alcuni tra i più famosi).

Tutto questo per fermare le due proteste di legge statunitensi che portano il nome di SOPA (Stop Online Piracy Act) e PIPA (Protect Intellectual Property Act): provvedimenti che fermerebbero la pirateria online e permetterebbero ai titolari di copyright di agire legalmente e direttamente per difendere e tutelare i propri diritti.

Se qualcuno sta pensando che queste leggi tocchino solo l’America, consiglio di continuare a leggere per saperne un po’ di più su quella che è stata rinominata la World War Web ovvero la Guerra Mondiale di Internet.

La proposta di legge SOPA è stata presentata alla Camera statunitense il 26 ottobre 2011 dal repubblicano Lamar S. Smith, e prevede la tutela dei diritti di copyright.
Se, a primo approccio, la legge può sembrare “cosa buona e giusta” in realtà tutte le conseguenze andrebbero ad intaccare il mondo di internet così come lo conosciamo oggi.
Il provvedimento, tutelando i contenuti protetti da copyright, renderebbe perseguibile anche i siti che ne facilitano la trasmissione e la condivisione – questo potrebbe significare la fine per moltissimi siti, blog e social network, a cominciare dai più famosi di tutti: YouTube e Facebook.

Ecco spiegato il tumulto del web negli ultimi mesi, in poco tempo sono spuntate come funghi proteste e petizioni contro la suddetta legge, scatenando tensioni anche all’interno del governo americano. Tali proteste hanno sollevato addirittura dei dubbi nel presidente stesso, Barack Obama, che ha espresso le sue perplessità sugli effetti a lungo raggio della proposta di legge.

Il tutto si è aggravato giovedì 19 gennaio quando l’FBI, con una retata improvvisa, ha arrestato i fondatori del celebre sito di condivisione Megaupload, oscurando anche il sito, provocando l’ira di numerose associazioni tra cui la famosissima Anonymous – unione di hacker attivisti (in inglese si fanno appunto chiamare hacktivists) – che ha lanciato un contrattacco direttamente al cuore di tutti i principali siti governativi americani, che in poco tempo sono andati in crash e sono diventati inaccessibili.
A seguito degli eventi del 19 gennaio, che hanno sollevato un enorme polverone e hanno smosso anche i più scettici, la proposta di legge è stata rinviata a data da destinarsi. In ogni caso domani 23 gennaio, alcuni siti internet verranno nuovamente oscurati, a cominciare da Facebook, proprio per far capire che la legge è stata solo messa da parte e non annullata.

E’ vero che è importante tutelare le proprietà intellettuale e che a nessuno farebbe piacere ritrovare le proprie “creature” condivise illegalmente, ma tutto questo è davvero necessario? Un attacco del genere non può essere fondato solo sulla perdita di incassi da parte di case discografiche, cinematografiche e affini – dopotutto se non ci fosse YouTube, magari non potremmo mai scoprire alcuni artisti emergenti, un video buttato lì per caso (magari proprio su Facebook), potrebbe spingerci ad acquistare un intero album. Stessa cosa dicasi per film e telefilm: recentemente la stessa Fox Italia ha condiviso il primo episodio della sit-com “New Girl” sul proprio canale YouTube per dare una speciale anteprima della serie. Dopotutto condivisione – perché è proprio questa la parola d’ordine – sta soltanto diventato sinonimo di pubblicità.

Alessia De Stefano

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Stop_Online_Piracy_Act

http://www.supergacinema.it/film/news/4344-megaupload-chiude-i-battenti-la-rete-insorge.html

http://www.ilpost.it/2012/01/19/come-andata-la-protesta-contro-sopa-e-pipa/