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Parlare di “beni culturali 2.0” o di “digital heritage“, intendendo con queste locuzione le complessi relazioni che si possono intrecciare tra patrimonio culturale e tecnologie digitali, è un tema oggi molto sentito dalla comunità scientifica, poiché interseca una domanda reale da parte dei potenziali fruitori, ovvero dare nuove modalità innovative ed esperienziali del bene culturale, al fine di migliorarne la qualità del servizio e di generare un valore più grande. Tra le tante iniziative in campo mondiali che stanno prendendo piede, una delle più interessanti è sicuramente quella intrapresa da DATABENC, ovvero Distretto ad Alta Tecnologia dei Beni Culturali, un consorzio di università, centri di ricerca e privati operativi in Campania con l’obiettivo appunto di sviluppare modalità virtuose di collegamento tra il mondo digitale e quello del patrimonio culturale.

Il primo step di DATABENC, che è stato presentato il 15 e 16 Aprile a Palazzo Fruscione e San Pietro a Corte, due monumenti della Salerno vecchia su cui insistono resti delle antiche terme romane e della cappella palatina della oggi scomparsa reggia del principato longobardo di Salerno, è stato il progetto “Tempi Connessi”, curato direttamente dall’Università degli Studi di Salerno, con l’obiettivo di produrre un’idea innovativa di gestione dei beni culturali attraverso lo sviluppo di soluzioni tecnologiche finalizzate – come ha detto Massimo De Santo, docente dell’Università degli Studi di Salerno e responsabile del progetto CHIS di DATABENC e dell’iniziativa “Tempi Connessi”, al convegno di presentazione dell’evento – non solo alla valorizzazione dell’immenso patrimonio archeologico e monumentale di cui la Campania e l’Italia dispongono, ma anche alla definizione di azioni di tutela, conservazione e fruizione sostenibile del patrimonio complessivo – nel caso di “Tempi Connessi” – della Città di Salerno.

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Molte sono state le soluzioni tecnologiche individuate e presentate non solo nel convegno, ma anche negli stand posti nei vari piani di Palazzo Fruscione, in cui è stato possibile per il pubblico provare molte di queste innovazioni digitali: quella che salta all’occhio subito è collegata alla cosiddetta fruizione collaborativa, ovvero una ricostruzione in realtà virtuale dei beni com’erano quando furono eretti attraverso alcune tecnologie di realtà immersiva (il famoso Oculus Rift), realtà 3D (attraverso degli appositi schermi autostereoscopici) e interazione collaborativa (la Kinect, un accessorio originariamente nato come device per aumentare l’esperienza di gioco nella XBOX, ma che per la sua natura ha trovato poi applicazioni svariate in molti settori), ma molto interessante sono state anche le Smart App per i beni culturali, che utilizzando delle tecnologie GPS in grado di individuare la posizione del fruitore possono scaricare e ricevere informazioni utili ai punti di interesse storico-artistico della zona e a proporre degli itinerari tematici di approfondimento e fruizione di particolari aspetti del patrimonio (ad esempio la stratificazione storica), o soluzioni meno giocate sull’interazione con l’utente ma altrettanto importanti per il concetto di conservazione su espresso come l’illuminazione tramite led regolata da dispositivi elettronici, in grado di rallentare il degrado fotosintetico degli ambienti e quindi delle opere storico-artistiche rispetto alle “tradizionali” lenti ad incandescenza o al neon, oppure un’applicazione per l’elaborazione dei dati provenienti dalle telecamere di sorveglianza, allo scopo di monitorare gli spostamenti delle persone nelle aree ed avere così una reportistica in tempo reale.

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Complementare alla presentazione del progetto, come detto su, è stato il convegno che se da un lato appunto è servito a presentare al pubblico l’iniziativa, è stata anche l’occasione per stimolare alcune riflessioni sull’importanza della filosofia progettuale alla base oppure, come ha detto il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Salerno Aurelio Tommasetti, sull’importanza del rapporto tra università come connessione di saperi e città/capoluogo come luogo di applicazione di questi.
A corollario di tutto, ma non meno importante, è la strategia di digital storytelling, curata da CreActivitas, e a tutti gli effetti un’altra soluzione tecnologica in grado di migliorare la fruizione dei beni del patrimonio culturale ma anche di essere in grado di generare la cosidetta digital social innovation, ovvero di essere in grado, attraverso strumenti di interazione come i live twitter, strumenti di aggregazione come storify e strumenti di pianificazione e spiegazione come Prezi o Murally, di generare un impatto sociale in grado di sensibilizzare maggiormente la comunità che insiste, a vario titolo (cittadini, operatori, turisti, ecc.) sui beni del patrimonio culturale, e di dare degli strumenti in grado di far capire ed accrescere il valore agli occhi della comunità, aumentando in maniera sensibile l’efficacia potenziale dei risultati.