Inizia con un interrogativo la conversation con Giorgia Turchetto, una domanda “per rompere il ghiaccio”: cos’è secondo voi il fundraising?
Un interrogativo all’apparenza molto semplice, ma che ha in se una connaturata complessità. Il fundraising, ci spiega Giorgia Turchetto, è un processo di scambio molto complesso; significa innanzitutto “mettere in gioco e mettersi in gioco”. Lo scambio opera anche alla base del marketing stesso: il mercato è composto da domanda e offerta e il loro rapporto è fondato sullo scambio. Il processo del fundrasing è composito: non si può pensare di operare solo una raccolta fondi e il gioco è fatto! Il progetto che si va a “sostenere” deve diventare competitivo sul mercato. Bisogna quindi capire come reinventarsi dall’interno, creare delle interconnessioni e contaminazioni tra linguaggi. L’approccio che si deve ricercare è un approccio che parte dal basso, che entra nelle organizzazioni e nelle aziende; il primo capitale che si deve moltiplicare non è quello monetario ma è il capitale relazionale: bisogna essere capaci di creare una catena di relazioni, chiedere, informarsi, domandare, parlare con le persone e parlare alle persone. Giorgia decide di portarci come esempio il progetto al quale lei sta lavorando come fundraiser: LIA-Libri Italiani Accessibili, un servizio creato per aumentare la disponibilità sul mercato di titoli di narrativa e saggistica accessibili per le persone non vedenti e ipovedenti. Mettendo a frutto le potenzialità del digitale, LIA ha attuato un modello, basato sull’utilizzo di standard internazionali, che consente di spostare a monte la produzione di ebook accessibili e di integrarla nei normali flussi produttivi e distributivi editoriali al fine di offrire ai non vedenti e agli ipovedenti un numero sempre maggiore di titoli accessibili. Il progetto LIA è a tutti gli effetti un progetto a base culturale, di innovazione sociale e sostenibile: bisogna infatti ricordare che oggi la sostenibilità è un elemento fondamentale.
Le parole chiave dunque sono proprio sostenibilità e innovazione sociale, con l’aggiunta di tre, potremmo dire, “paroline magiche” che non devono mai mancare: creatività, fantasia e volare alto! Bisogna entrare nell’ottica che il fundraising non è un qualcosa di esterno che agisce su un progetto, ma è una filosofia che deve entrare nelle organizzazioni e agire dall’interno. Questo risulta di difficile realizzazione nel mondo culturale; la cultura è molto autoreferenziale e innalza un muro difronte a qualsiasi tipo di dialogo che viene da fuori. Il mondo non è preparato a questo: molto spesso bisogna fare cultura del fundraising. Ovviamente non si può pensare di fare fundraising se non si hanno risorse da investire e se non si posseggono degli strumenti che consentono di costruire il giusto capitale relazionale. Tutti portiamo del valore! Fare fundraising significa sfondare il muro della relazione. Non si può pensare di fare fundraising se non si vuole avere a che fare con le persone; le persone ti devono piacere perché “le persone donano ad altre persone”, e non ad associazioni o ad aziende. Un problema forte della cultura è la difficoltà di comunicarla. Maneggiare la cultura significa conoscerla (un esempio potrebbe essere la ricerca del Mibact “il museo che vorrei”). Giorgia ci fa capire cos’è il fundraising dicendoci cosa non è il fundrasing. E di qui iniziamo a farci delle domande: perchè è giusto chiedere soldi per la cultura? Non ci sono già le tasse? Cosa dà al museo un valore aggiunto? Qui si apre un’interessante discussione sul considerare o meno la cultura qualcosa di distante dalla vita di tutti i giorni, oppure qualcosa di effettivamente molto vicino e interconnesso con la quotidianità.
Il fundraising per la cultura esiste; ma esiste invece la cultura del fundraising? Semplificare il tutto parlando di raccolta fondi per cause no profit è ovviamente sbagliato. Parliamo di vera e propria filosofia che guarda prima di tutto alle persone e poi ai soldi. Utopia? Dalle parole di Giorgia Turchetto non sembra che si tratti di un “sogno”. “Abbattere il muro delle relazioni” non è uno slogan politico ma il primo passo per essere un buon fundraiser! Le slide alle sue spalle fanno da file rouge a fatti di vita quotidiana; ogni giorno la realtà della crisi si scontra con l’importanza della cultura, con la sua value proposition, con il concetto di Cultural Social Responsability. Noi viviamo nel mondo, la cultura è parte integrante di questo mondo; bisogna operare una rieducazione dell’uomo, responsabilizzarlo alla cultura, alla salvaguardia della cultura e al sostegno di essa.
Raffaella Estatico
Maria Rossella Scarpa
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