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Parlare di accessibilità in rapporto alla cultura e – soprattutto – rispetto alla corretta fruizione degli spazi culturali (l’esempio più banale è il museo, luogo/raccoglitore d’arte, e di come esso possa essere correttamente fruito da chi ha disabilità fisiche – ipovedenti, ad esempio – o anche malattie degenerative, come l’alzheimer) è uno dei temi centrali su cui le industrie culturali e creative possono creare sinergie e, tra queste, sicuramente il design rappresenta l’esempio più significativo delle potenzialità dell’industria creativa (che, da definizione, è quel settore produttivo che vede l’attività culturale come uno dei fini ma non l’unico, a differenza delle industrie culturali) nel risolvere problemi che coinvolgono coloro che abitano e fruiscono dei beni culturali.

Per trovare una metodologia globale per affrontare la progettazione dell’ambiente costruito, fisico e virtuale, individuando soluzioni innovative che consentano, di abbattere le barriere architettoniche e culturali e permettere a tutte le persone di avere pari opportunità per partecipare attivamente ad ogni aspetto della dinamiche della società, si è organizzata, in collaborazione con l’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, sempre attenta sulle tematiche di innovazione sociale a base culturale, una due giorni presso Città della Scienza dal titolo Design for all – cultura e accessibilità, suddivisa in un giorno di convegno/racconto delle esperienze e in un giorno di modalità laboratoriale atta a trovare soluzioni condivise per affrontare in maniera corretta il tema dell’accessibilità attraverso il design.La prima giornata inizia con una riflessione sul senso e la necessità del convegno da parte delle parti istituzionali coinvolte in causa; per Josep Wijnands, ambasciatore del Regno dei Paesi Bassi in Italia, l’idea è di scambiare idee ed imparare dalle esperienze per aiutare l’accessibilità all’interno della cultura, perché è la nostra capacità di essere innovativi ad aiutarci a risolvere le difficoltà insite nel settore. Per Vincenzo Lipardi, direttore di Città della Scienza, la cultura è l’unico ponte davvero adatto per costruire qualcosa di solido tra differenti tradizioni, mentre per il vicesindaco di Napoli Raffaele Del Gaudio è necessario ridisegnare, e quindi riorganizzare, gli spazi che compongono la città, poiché le nostre città non nascono con un disegno a monte, ma si adattano generazione dopo generazione ai bisogni sempre nuovi e complessi della collettività che vive ed insiste su di esse.

Dopo questo primo momento, arriva il momento di sentire le esperienze legate alle politiche, le strategie e gli scenari, con una serie di speech che teorizzano la necessarietà di attivare processi virtuosi tra accessibilità e cultura; Fabio Borghese, direttore di CreActivitas, si è soffermato sui temi principali caratterizzanti l’evento, ovvero la partecipazione attiva delle persone e il ruolo della cultura nel migliorare lo sviluppo del territorio. Attraverso il design e la tecnologia si è passati infatti dalla fruizione passiva del bene/struttura culturale ad una fruizione arricchita, interattiva. Ludovico Solima, docente di economia e gestione degli enti culturali presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, si è soffermato anche lui sul concetto di partecipazione e di attività culturali. E’ emerso infatti come mancanza d’interesse e mancanza di tempo sono le due ragioni principali per cui le persone non fruiscono delle attività culturali; per questo i musei devono iniziare a ripensare le proprie attività partendo dal concetto che siamo tutti diversi, anche utilizzando bene il digitale, che potrebbe sembrare una minaccia molto spesso a causa della non familiarità dell’utente con tecnologia. A chiudere la prima sezione d’interventi Pete Kercher, ambasciatore EIDD Design for All Europe, che si è concentrato sulla metodologia d’utilizzo del design utilizzata dall’associazione, ovvero quella di utilizzarla attraverso un approccio esperienziale, che tenga conto delle diversità tra le persone e quindi punti anche molto sul concetto d’inclusione sociale.

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La seconda sezione di interventi è dedicata agli orientamenti e alle pratiche innovative; il primo a parlare è Michel Buchel, CEO dello Science Center Nemo di Amsterdam e Presidente di Ecsite, che ci ha messo in campo proprio l’esperienza con il museo olandese, visitato da 10 milioni di persone l’anno, che rappresentano il più grande carburante per la struttura, in quanto sono i visitatori a rendere vivo lo spazio, generando poi a catena processi virtuosi anche sull’economia cittadina. Per migliorare la qualità della vita di chi vive le strutture museali, ma più in generale di chi vive l’economia di un territorio, sono necessarie l’educazione, la tecnologia e lo smart thinking, e il museo può essere un importante hub di snodo per queste caratteristiche e per sviluppare quindi idee innovative. In particolare, i musei scientifici (di cui Città della Scienza è una perfetta controparte italiana) devono fare rete tra loro e creare connessioni al fine di investire nella formazione e nell’apprendimento dei giovani, perché ormai il 90% delle conoscenze che fanno parte di noi vengono apprese al di fuori del sistema educativo tradizionale, per cui strutture come queste devono essere d’ispirazione per la conoscenza, l’innovazione, la cultura. Bart van den Laar, direttore di Science LinX dell’Università di Groningen, si è soffermato invece sul concetto di costruire una cultura scientifica accessibile. Allo scopo è importante targetizzare il pubblico di riferimento e capire come questi possano vivere un’esperienza che sia anche eminentemente culturale. In questo senso è fondamentale il lavoro compiuto dalle università, dalle scuole e dai centri scientifici per cui si auspica la connessione tra questi elementi “consapevoli” al fine di essere maggiormente efficaci. Sulla stessa lunghezza d’onda dei due olandesi si è posto il direttore dello Science Centre di Città della Scienza Luigi Amodio, il quale si è soffermato sulla grande possibilità che hanno i musei scientifici di creare le condizioni per migliorare la partecipazione alla cultura. Infatti sono le persone stesse che creano i contenuti, poiché bisogna tener conto di cosa esse pensano e dicono in rapporto sia alla scienza e alla tecnologia sia alla cultura stessa. Questo contenuto viene poi condiviso con gli altri visitatori e gli utenti, generando poi a sua volta ulteriore contenuto, in un circolo innovativo che non finisce mai. Diventa quindi fondamentale cercare di coinvolgere il pubblico dandogli dei ruoli più forti all’interno della gestione della struttura stessa.

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Dopo il pranzo, l’attenzione dell’incontro si è focalizzata sull’ultimo blocco d’interventi, focalizzato sugli scenari. A presentare la prima esperienza pomeridiana è stata Anouk Hesbeen dello Stedelijk Museum di Amsterdam, che ha raccontato del progetto attivato da quest’ultimo dal nome “Unforgettable”, che consiste in delle visite guidate della struttura dedicata all’arte contemporanea specificatamente costruita per malati degenerativi neurologici (alzheimer in primis) e per i loro accompagnatori, permettendoli di vivere un’esperienza insieme in grado di creare innovazione sociale. Giulia Bussotti, consulente per l’editoria digitale ed esperta di accessibilità dei testi, ha parlato del Progetto LIA, acronimo di Libri Italiani Accessibili, ovvero della creazione di un archivio digitale di pubblicazioni editoriali specificatamente pensata per coloro che hanno disabilità visive (ipovedenti in primis), mentre Mario Malinconico, Direttore di ricerca presso l’Istituto Polimeri, Compositi e Biomateriali si è soffermato sulle proprietà dei materiali per permettere una maggiore accessibilità.

La seconda giornata ha seguito un impianto diverso: non più incontro e presentazione di politiche ed esperienze, ma una modalità laboratoriale che ha diviso tutti i partecipanti in tre gruppi con lo scopo di trovare soluzione diverse e condivise da più punti di vista sul rapporto virtuoso tra cultura e design ed accessibilità. Si è quindi scelto di dividere le persone secondo tre categorie di approccio al lavoro, ovvero i manager e gli operatori culturali, con il compito di focalizzarsi sulle politiche, gli utenti, che hanno lavorato sul concetto di usabilità e di user-friendly e gli sviluppatori/progettisti con il compito di trovare soluzioni legate al design per risolvere i problemi di accessibilità. La discussione ha fatto emergere diversi punti da sviluppare: bisogna lavorare sulle differenze sociali, culturali, fisiche e cognitive, perché l’accessibilità deve avere un approccio multisensoriale e non dev’essere focalizzata solo sul rendere più semplice. Diventa necessario costruire una partecipazione forte dagli utenti, poiché gli spazi come i musei devono essere in grado di includere tutti, miscelando anche profili diversi lavorativi mettendoli in condizione ognuno di lavorare per il meglio. Gli spazi fisici diventano la chiave per gestire le disabilità in modi nuovi miscelando elementi tangibili ed intangibili e creando nuovi processi attraverso la tecnologia, in grado di farci capire come attraverso questi sia migliorata l’esperienza di fruizione da parte dell’utente finale.

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Dopo questo primo giro, i partecipanti sono tornati a dividersi in gruppo, questa volta lavorando sul chi, il cosa e il come permette di creare una cultura accessibile. Anche qui, i risultati sono stati molto interessanti: la partecipazione deve essere proattiva, dove gli utenti debbono essere anche protagonisti di questo processo e i processi debbono essere più definiti. Per migliorare in maniera più efficace l’accessibilità abbiamo bisogno di un punto di partenza, e quindi si rende necessario creare dei prototipi. Gli utenti necessitano di strumenti per poter vivere meglio l’esperienza, e questi strumenti devono esser digitali e multimediali per avere una valenza davvero importante in questi processi. E’ importante creare anche un archivio/deposito dove vengono mostrate, in continuo aggiornamento, tutte le buone pratiche nel campo. Inoltre si è sottolineata anche l’importanza dell’adattività, soprattutto in relazione alle identità, e al permettere all’utente di creare dei percorsi tailor-made sulle proprie necessità.

Sicuramente esprimere in due giorni tutte le problematiche relative ad un problema tanto complesso quanto attuale come quello dell’accessibilità della cultura e dei suoi spazi era molto difficile; di certo l’incontro-workshop è stato importante per mettere in connessione una serie di professionisti internazionali che lavorano nel campo, e per fissare dei punti di partenza su cui procedere il lavoro di ricerca e di attuazione.

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