“Sangue amaro”, potrebbe essere il titolo del secondo appuntamento della rassegna culturale Davimedia che ha presentato fra critiche e accese discussioni il regista teatrale Delbono. Un uomo che “non le manda a dire”.

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© Antonello Trezza

Il secondo appuntamento di Davimedia, in collaborazione con Hub – Network delle culture contemporanee, che ha visto protagonista il regista e attore teatrale Pippo Delbono, si è trasformato in un momento di feroce dibattito sulla condizione giovanile contemporanea rispetto alla cultura e l’omologazione che, secondo Delbono, riguarda la società odierna.

Poco si è riuscito a dire sul film che il regista ha presentato per la prima volta nel Sud Italia, Sangue,  girato in parte con l’uso del cellulare e che vede le immagini degli ultimi istanti di vita della madre del regista.

Durante il dibattito Delbono, alla domanda del pubblico su come sia riuscito a trovare la forza di compiere un gesto simile, riprendere la madre morente, ha dichiarato di voler trattenere in qualche modo la madre, cercare di fermare quel momento. Non c’erano altre motivazioni e soprattutto l’idea del film è arrivata dopo, quando il regista ha conosciuto un ex membro delle Brigate Rosse, Giovanni Senzani, con il quale intrattiene una sorta di percorso di formazione durante il quale anche l’uomo si ritrova a parlare della madre in fin di vita. Le due cose si uniscono e il prodotto finale è quello presentato il 4 novembre nel Teatro dell’Ateneo salernitano.

La scelta di un personaggio come Senzani, ex terrorista delle BR, è una scelta scottante che, insieme alle immagini della madre morente di Delbono, non fanno sicuramente di questo film un prodotto commerciale; proprio qui è nata la lunga discussione sulla differenza tra l’arte per pochi e quella per molti. La polemica sorta intorno all’idea di arte e cultura che c’è nel nostro Paese è nata da un riferimento di Delbono su una parte del cinema italiano. Il regista si è detto per nulla interessato a coloro che realizzano prodotti artistici “per fare cassetta”; prodotti quindi commerciali che si rivolgono al pubblico di massa. E’ stato a questo punto che è entrato in argomento l’ultimo film di Checco Zalone, Sole a catinelle, uscito nelle sale lo scorso week end e già campione di incassi in tutta Italia. Alla domanda di Delbono di esprimere un’opinione sul film di Zalone, una voce “fuori dal coro”, quella di uno studente di Scienze della comunicazione, ha detto, tra le risate di Delbono e di parte dei presenti, di essere entusiasta del film.

La presa in giro del malcapitato è andata avanti quando il regista gli ha chiesto di spiegare i motivi di questo entusiasmo e il ragazzo si è dovuto alzare in piedi, davanti alla platea e alle telecamere dei giornalisti, il tutto sempre accompagnato da sonore, e non poco fastidiose, risate.

La tirata di Delbono è andata avanti sulla “mediocrità” del pubblico giovanile spostandosi poi su motivazioni legate al modo di comportarsi e di vestire dei giovani.

Dopo una passeggiata nel centro storico di Salerno, addobbata con le Luci d’Artista, ha notato che i ragazzi camminano tutti allo stesso modo, si fanno le foto nelle solite pose e si tengono la mano tutti allo stesso modo. Sono omologati e poco propensi alla riflessione e questo, secondo Delbono, li porta a scegliere prodotti di massa piuttosto che prodotti d’élite.

Tra le polemiche di alcuni studenti offesi verso questa opinione “estrema” e accuse di arroganza verso il regista, la domanda che ha dominato l’incontro / dibattito è stata “ma di chi è la colpa se opere come Sangue non vengono distribuite ne seguite? Il pubblico sa scegliere il prodotto culturale? È vero che fra i giovani c’è troppa omologazione e poca cultura?”

Il problema, secondo il regista, è che oggi si vive tutto con troppa superficialità e di corsa, non si vede davvero la morte, non la si conosce. “Se si conosce la morte, si vive diversamente” ha detto.

Di sicuro il quadro generale della situazione, per quanto riguarda la cultura in Italia e il modo in cui quest’ultima viene percepita, è problematico. Dallo sguardo di Delbono quello che viene fuori è un mondo fatto di superficialità, amori nati su social network e tacchi a spillo, da cui Delbono prende le distanze e dimostra di interessarsi davvero poco; soprattutto prende le distanze dai diversi “Checco Zalone” che affollano il nostro cinema.

La domanda che a questo punto viene da porsi è se sia poi così giusto fare arte come Delbono, rivolgendosi a pochi e rifiutando tutto quello che è “di cassetta”, per scarso interesse e perché si è troppo presi dalla cultura, quella “vera”. È giusto fare arte per se stessi e per pochi? In che modo l’arte d’élite può raggiungere la massa?

Di sicuro finché da parte di personaggi come Delbono, e allo stesso modo da parte del pubblico di massa, vi sarà una chiusura nel proprio mondo e non ci si aprirà alla condivisione, vi saranno sempre schieramenti di questo tipo.

Inoltre, che se ne curi o no, Delbono e quelli come lui, rischieranno sempre di essere considerati “arroganti” se non si proverà a trovare un compromesso. A quel punto di film come Sangue, c’è poco da farsene se chi li realizza non è aperto alla comprensione e alla condivisione con il mondo in cui opera. Perché l’arte, per quanto voglia dichiararsi in certi casi indipendente, non può e non deve prendere le distanze dal mondo. In questo caso da un mondo che non condivide, perché anche nella mediocrità si può scorgere qualcosa di interessante. Non dimentichiamo che spesso le case di produzione riescono a finanziare i film d’élite, che la maggior parte delle volte arrancano a rientrare nelle spese, proprio grazie ai cospicui incassi dei film commerciali.

Non si tratta di santificare Zalone e buttare negli inferi Delbono; il livello di un artista e della sua arte parla da solo senza che vi sia qualcuno ad elevarlo. Quello che è importante sempre è rispettare le scelte del pubblico, le persone che hanno lavorato ad un prodotto anche se questo non ti fa “guardare la morte negli occhi”. Ma soprattutto non si può prendere in giro un ragazzo che afferma di aver apprezzato un film commerciale e farlo passare per uno stupido, facendosi beffe di lui. Al mondo, come la morte, c’è sempre stata anche la vita; e la vita, come insegnava Aristotele nella Poetica, è fatta di Alto e Basso. Compito dell’arte è curarsi di entrambi gli aspetti. Se si sceglie l’Alto, però, non bisogna dimenticarsi che anche il Basso parla delle cose della vita e il fatto che faccia ridere e lo faccia con mezzi semplici non è una colpa.

Nel complesso di omologato c’era solo il pensiero di un regista che ha livellato il quoziente intellettivo dei giovani, e in particolare di certa gioventù del Sud che ha dimostrato più volte di essere eterogenea e interessata a tante cose, non solo alle luci di Salerno e ai tacchi a spillo. Inoltre Delbono non ha considerato che se nel Sud ci si lega troppo alla superficialità di qualche lucina natalizia, per quanto eccessiva e in alcuni casi pacchiana e fine a se stessa, al Nord del resto si è molto legati al rito dell’Aperitivo, o Apericena (che dir si voglia): un rituale che è l’emblema dell’apparire e del jeans stretto con tacco a spillo, in cui l’apparenza, da cui Delbono prende le distanze, la fa da padrona. Per cui, ben vengano le passeggiate e i film commerciali se l’alternativa è un drink con qualche salatino (del resto Salerno ha il mare … ed è bello passeggiare e respirare lo iodio!).

Bisogna sottolineare che la colpa, in questo caso e in tanti altri casi, è anche dell’offerta, non solo dell’utenza. Se in Italia mancano i cinema e i mezzi di trasporto per raggiungerli è naturale che i giovani non hanno la possibilità di guardare “al di la”, di scegliere tra l’Alto e il Basso, e magari di dedicare una giornata al Gattopardo restaurato e una giornata a Sole a Catinelle.